God bless the child – Billie Holiday
Billie Holiday era una piccola donna. Una piccola donna in un mondo di uomini. Di uomini bianchi.
Figlia di un suonatore di banjo sedicenne e di una mamma bambina, non ha mai conosciuto l’infanzia. Affidata ad una cugina della madre dalla quale veniva trattata con molta durezza, subì uno stupro all’età di 10 anni e dovette reagire a molti altri tentativi di violenza.
Ancora bambina raggiunse la madre a New York guadagnandosi da vivere in un bordello. Fu arrestata. Scontata la pena si propose come ballerina, ma non sapeva ballare.
Però sapeva cantare, e così presto cominciò ad esibirsi nei locali di Harlem. Aveva 15 anni.
La piccola donna fu notata per la sua voce intensa e piena di pathos da un produttore che la portò ad incidere con i grandi jazzisti del momento. Fu tra le prime cantanti nere a esibirsi con artisti bianchi, ma non poteva alloggiare negli stessi hotel e doveva entrare sul palco dall’ingresso riservato ai neri.
In questo clima, sfidando le discriminazioni, cantò Strange Fruit, e il frutto stano era il corpo di un nero ucciso dai bianchi ed appeso a un albero.
Billie era una piccola donna sola e fragile. Agli inizi degli anni”40, poco più che ventenne, cominciò ad assumere droghe per alleviare il dolore che si portava dentro.
La sua voce di bambina sperduta cominciò a cambiare ma rimase sempre dolorosamente bella e conquistò le platee più prestigiose.
Nel 1956 scrisse la sua biografia (sarebbe morta 3 anni dopo) dove narrava di tutto questo, ma la sua storia di bambina derubata della propria infanzia, delle relazioni burrascose, e dei problemi finanziari l’ha racconta, con la forza sintetica della poesia, nella canzone che ha scritto lei stessa “God Bless the Child”: Dio benedica il bambino che ha solo se stesso.
La sua voce, potente e allo stesso tempo cosi minuta, quella voce che cantava di ferite mai rimarginate, di una vita in continua lotta col mondo, della fatica di farsi strada e del destino di perdersi, quella voce, cosi ‘moderna’ ha varcato le soglie del tempo e ha contaminato altre cantanti come Janis Joplin e Nina Simone.
Grazie Lady Day. A noi piace perderci nel labirinto dei tuoi tanti sogni irrealizzati.